Presentazione del settore
Le biotecnologie sono tecnologie che utilizzano organismi viventi come batteri, lieviti, cellule vegetali e animali o parti di essi per sviluppare prodotti e processi.
Definite nel 2009, dalla Comunità Europea, Key Enabling Technology rappresentano vere e proprie tecnologie abilitanti per tanti comparti industriali, fornendo attraverso le loro diverse applicazioni risposte a molteplici esigenze sempre più urgenti della società moderna a livello di salute pubblica, cura dell'ambiente, agricoltura, alimentazione, sviluppo sostenibile.
Secondo le stime dell'Ocse, nel 2030 le biotecnologie avranno un peso enorme nell’economia mondiale: 80% dei prodotti farmaceutici, 50% dei prodotti agricoli, 35% dei prodotti chimici e industriali, incidendo complessivamente per il 2,7% del Pil globale. Numeri che confermano le grandi potenzialità di queste tecnologie anche in termini di opportunità economiche, di crescita e di occupazione.
Negli ultimi anni, sebbene in ritardo rispetto agli altri grandi Paesi europei, è emerso e si è consolidato anche in Italia un vero e proprio settore biotech, costituito da imprese specializzate. In Italia si contano attualmente 641 imprese biotech attive: un numero complessivo ragguardevole, che ci vede quarti in Europa, ma costituito in larga parte da imprese piccole e micro, che faticano a compiere il salto dimensionale indispensabile per competere nel mercato globale. Solo 143 imprese possono, infatti, essere considerate medie o grandi imprese, superando la quota dei 50 addetti.
Il comparto raccoglie imprese attive nello studio, sperimentazione e sviluppo di tecnologie molteplici con diversificati ambiti di applicazione. I principali mercati di sbocco sono costituiti da salute, industria e ambiente, agricoltura e zootecnia. Svolgono attività di ricerca di base, servizi legati alla bioinformatica e all’analisi dei Big Data le imprese che si occupano di Genomica Proteomica e Tecnologie Avanzate (GPTA).
A trascinare il comparto sono le realtà impegnate nel settore delle biotecnologie della salute, che rappresentano circa la metà delle imprese di biotecnologie in Italia (50%) e oltre il 70% delle big company biotech. Cresce, anche se in minima parte, l’incidenza delle imprese che lavorano in area industriale e di quelle impegnate nel settore agricolo e zootecnico.
Elemento caratteristico, il biotech italiano è un settore ad altissima intensità di ricerca e innovazione. Basti pensare che, rispetto al settore manifatturiero, la quota di addetti in Ricerca & Sviluppo è cinque volte maggiore. Con il 73% di laureati sul totale degli addetti è, inoltre, uno tra i comparti industriali a più elevato tasso di scolarizzazione, posizionandosi nettamente al di sopra della media europea (67%).
Va segnalato, inoltre, che le imprese biotech si concentrano prevalentemente nel centro-nord del Paese: la Lombardia è la prima regione d’Italia per numero di imprese, investimenti e fatturato biotech. Seguono: Lazio ed Emilia-Romagna per numero di imprese; Toscana e Lazio per investimenti in R&S intra-muros e per fatturato biotech.
Addetti e opportunità per i laureati
L’industria biotecnologica italiana si trova ad avere esigenze specifiche in termini occupazionali, che però a volte non trovano adeguata risposta da parte del mondo della formazione, che pure può contare sul territorio corsi di laurea in biotecnologie di primo livello, a cui si aggiungono corsi di laurea magistrale nei diversi comparti di applicazione: biotecnologie mediche, veterinarie, farmaceutiche, industriali e agrarie. Forte di questo grande investimento in formazione, l’università italiana prepara ogni anno alcune migliaia di laureati in biotecnologie. In azienda, la richiesta di personale qualificato da parte del settore industriale è molto inferiore al numero di biotecnologi che si affaccia ogni anno sul mercato del lavoro.
Le principali opportunità di inserimento per un biotecnologo in una impresa biotech rimangono ancora legate all’ambito scientifico, ma in senso lato. Guardando alla ricerca, va sottolineato che oggi l’80% delle attività di R&S viene svolta esternamente all’azienda, contro il 20% di 10 anni fa. Decresce di conseguenza la domanda di addetti alla ricerca all’interno delle imprese. I modelli di ricerca si sono evoluti, infatti, dal modello chiuso e centralizzato – closed innovation – dello scorso millennio, nel quale tutte le attività di R&S venivano condotte all’interno dei laboratori aziendali, al modello di open innovation, collaborativo, che ha caratterizzato il primo decennio degli anni 2000, fino all’innovation network, ovvero una modalità di operare attraverso network in grado di generare innovazione, mettendo a sistema tutte le competenze più specialistiche che risultano disponibili nella rete globalizzata della ricerca.
Andando oltre la ricerca, il percorso di un laureato o neo-laureato in azienda può spaziare dallo sviluppo di processo, alla produzione (Upstream & Downstream), alle Quality operations (Quality Control, Quality Assurance). A questi percorsi professionali si affiancano le opportunità di inserimento negli ambiti del Technology Transfer, degli Affari regolatori, della Qualità, del Marketing, della Produzione, delle Vendite, della Consulenza per lo sviluppo strategico e Business Development, del Regulatory, del Clinical monitoring. Un’area che offre certamente buone opportunità è quella dei cosiddetti ‘manager della scienza’, ovvero persone capaci di trasformare un’idea in un prodotto, convincere investitori privati e pubblici a supportare le proprie idee, attivare e potenziare i centri per il trasferimento tecnologico, vero asse portante dell’interazione tra università e industria, base per la creazione d’impresa. Parliamo di figure di cui l’Italia mostra ad oggi un’evidente carenza, ma di cui si sente e si sentirà sempre più la necessità.
Nel corso degli anni la richiesta di risorse preparate dal punto di vista scientifico e in grado di gestire i complessi processi che dal bancone della ricerca portano al prodotto finito si è accresciuta, vista anche la maggiore complessità dell’ecosistema legislativo e regolatorio che ruota attorno a ricerca, sviluppo, produzione e commercializzazione di un prodotto o processo biotech.
Un trend che diventerà sempre più attuale è quello della crosscontaminazione delle competenze: aumenterà la richiesta di figure ibride come bioingegneri, bioinformatici, data scientist, biostatisti etc.
Resta una certezza: le conoscenze acquisite in Università non bastano più: spesso è necessaria una formazione post-laurea specifica che può essere acquisita in azienda o attraverso percorsi dedicati. Questa formazione prevede un approfondimento sui temi della creazione e gestione dell'impresa, dell’amministrazione dei progetti scientifici, dell’attività di marketing (inclusa l'attività di brevettualità), del trasferimento tecnologico e, non ultima, della comunicazione scientifica, tutti aspetti indispensabili al completamento della figura del biotecnologo.
Le biotecnologie possono rappresentare un possibile sbocco occupazionale, se valutate in una prospettiva ampia e articolata: volgendo lo sguardo oltre il bancone della ricerca si possono aprire spazi per risorse altamente qualificate che, oltre a un importante background scientifico, e biotecnologico in particolare, sappiano far valere altrettanto significative competenze imprenditoriali, consulenziali e manageriali.
Per saperne di più
www.assobiotec.it
www.storiedalfuturo.it