È il
terzo abitante della Tavola Periodica, lo conosciamo per le batterie ricaricabili e per essere uno degli elementi costitutivi delle stelle, ma è anche protagonista di una delle storie più crude che coinvolgono artisti e chimica, ovvero quella del poeta
Robert Lowell.
Due volte premio Pulitzer, è passato alla storia come il Van Gogh della poesia, perfetta incarnazione del binomio genio-follia. Ai tempi della scuola era soprannominato dai compagni “Cal”, da Calibano, il mostro folle della "Tempesta" di Shakespeare, o forse da Caligola, l’imperatore romano noto per la sua follia. Se quest’ultimo è ricordato per aver nominato senatore il suo cavallo, i biografi di Lowell portano a testimonianza della sua pazzia alcuni episodi, come quando si presentò a un amico come la Vergine Maria o quando tentò di fermare le macchine su un’autostrada allargando le braccia come Cristo in croce.
Per tamponare questi momenti di delirio, Lowell venne curato col litio, capace di ingannare con complesse modalità, alcune sostanze del sistema nervoso, legate all’umore. La cura si rivelò efficace per la stabilità e l’equilibrio del poeta, tanto che l’assegnazione del Pulitzer avvenne con le sue opere più tarde.